:: interviste ::
Paolo Agazzi: il cinema
latinoamericano vive un momento interessante
Paolo Agazzi, Premio Italiani in America Latina
al XIX Festival Cinema Latinoamericano di Trieste,
vive in Bolivia da oltre vent'anni ed è uno dei
cineasti più prestigiosi del Paese andino. Già
presente al Festival triestino alcuni anni fa,
con El día que murió el silencio, Agazzi
vi ritorna quest'anno con El atraco,
una coproduzione boliviano-peruviana-spagnola,
che lui definisce "un film politico, ma che
non parla di politica". "E' un film"
spiega "con una sceneggiatura solida, che
utilizza un linguaggio classico. Si ispira a un
fatto di corruzione avvenuto negli anni '60 e
che ho trasportato negli anni '80 per attualizzarlo
e per dimostrare che la corruzione non è mai finita,
continua ad essere presente. Ho scelto volutamente
un linguaggio classico, perché era il più adatto
a questo tipo di storia. E' sempre molto importante
partire dalla storia e da quello che si vuole
dire, sono questi elementi che determinano il
genere e il linguaggio. Ad esempio, adesso sto
lavorando a una commedia per la quale utilizzerò
un linguaggio più moderno; apprezzo molto registi
come Tarantino o Almodóvar: La mala educación
non è il miglior film di Almodóvar, ma ha
un gioco di incastri complesso e bellissimo. Adesso
voglio confrontarmi con questi linguaggi più nuovi."
- I protagonisti di El atraco
sono due giovani attori peruviani che godono di una certa fama in Italia, grazie anche
alle telenovelas. Salvador del Solar lo abbiamo visto in Pantaleón e le visitatrici
di Francisco Lombardi e nella telenovela Innamorata; Diego Bertie si è visto in
varie telenovelas nei canali internazionali su satellite. Come è stato lavorare con loro?
"Mi sono trovato molto bene, sono due grandi professionisti. A volte mi interessa,
per le storie che racconto, lavorare con attori professionisti, non lo faccio sempre, ma a
volte, come in El atraco, è necessario. Diego e Salvador hanno lavorato insieme
varie volte, a cinema hanno interpretato insieme il film peruviano El bien esquivo
di Tamayo, sono amici anche nella loro vita privata. Hanno saputo trasmettere tutto questo
nel rapporto che si stabilisce tra i loro personaggi nel film. C'è quimica tra
di loro. Sono stati molto bravi".
- El atraco è una
coproduzione internazionale. E' difficile fare cinema in Bolivia?
"Sì, il mercato nazionale è molto piccolo e non permette di rientrare dei costi. E
oltre a questo c'è il problema delle sale, occupate dai film nordamericani. Prendiamo
l'esempio di El atraco: stava andando molto bene, con grande successo di pubblico
e, nonostante questo, l'hanno tolto perché bisognava far posto a The Passion di
Mel Gibson. Gli unici Paesi che hanno una buona industria cinematografica sono il Messico,
il Brasile e l'Argentina. Per la Bolivia, il Perù e gli altri Paesi spesso le
coproduzioni sono l'unica strada possibile. El atraco, che ha avuto un ottimo
risultato in Bolivia, dovrebbe uscire presto in Perù e a gennaio in Spagna, Paesi che
hanno coprodotto la pellicola. Ma c'è anche da dire che queste cinematografie minori
permettono anche una grande libertà".
- In che senso?
"E' un cinema soprattutto indipendente, non ci sono grandi passioni sui cineasti e
non ci sono molti condizionamenti."
- Non ci sono neanche temi da non
affrontare o censure preventive?
"No, oggi come oggi no. Ho affrontato anche temi politici nei miei film. E anche El
atraco affronta un tema difficile come la corruzione, ma nessuno mi ha controllato o
fatto pressioni per le mie scelte. In questo senso il cinema latinoamericano garantisce
libertà e indipendenza".
- E la nuova stagione politica come
influisce sulle politiche cinematografiche?
"E' un momento importante. La cinematografia cilena è molto interessante,
ci sono molti giovani che anche in Argentina, Brasile, fanno cose che meritano attenzione.
Ci sono tanti linguaggi nuovi, tanti giovani; c'è anche la democratizzazione del cinema:
il digitale permette di tagliare i tempi della post produzione."
- Prima accennava all'importanza
delle coproduzioni per il cinema latinoamericano. L'Italia, che soprattutto in Argentina,
Brasile e Venezuela conta su forti comunità, è presente in queste politiche?
"Purtroppo no. Ci sono iniziative private, ma a livello statale non ci sono istituti
che si occupino dei rapporti con l'America Latina. La Spagna, che è molto presente, è
sicuramente facilitata dalla lingua. Da qualche anno c'è Ipermedia, che si occupa delle
coproduzioni di Spagna e America Latina. Anche la Bolivia è entrata in questo giro e
questo permette anche ai cineasti boliviani di partecipare e di avere finanziamenti per i
loro progetti".
- Lei è italiano. Ha influenze del
cinema italiano?
"Chiaro. Sono nato a Cremona e ho studiato cinema a Milano. Sono andato in America
Latina quasi casualmente, mi ero preso una pausa dalla mia vita di sempre. In Bolivia sono
entrato in contatto con il Grupo UKAMAU, che aveva fatto produzioni interessanti negli
anni '60. Ho fatto reportage, seguito progetti e le poche settimane che dovevo passare in
Bolivia sono diventati vent'anni. Il mio cinema è fortemente influenzato dal cinema
italiano. E' normale, sono italiano, i film che ho visto e che ho amato, la commedia
all'italiana, appartengono alla mia identità".
- Si vede il cinema italiano in
America Latina?
"No. E non si vede più neanche tanto in Argentina, dove era molto seguito. Il
problema è sempre l'occupazione del mercato da parte dei nordamericani. Del cinema
italiano si vede qualcosa grazie alle tv via cavo, sono arrivati Muccino, Ozpetek,
ovviamente Benigni. Ma non è più come prima. E in parte, bisogna essere sinceri, è
colpa della crisi del cinema italiano."
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